LALIBELA
L'AEROPORTO
L'HOTEL YEHMREA
LE CHIESE RUPESTRI
LE CHIESE RUPESTRI - BET MEDHAME ALEM
LE CHIESE RUPESTRI - BET MEDHAME ALEM
LE CHIESE RUPESTRI
SAN GIORGIO
BET GEORGIS
LA CERIMONIA DEL CAFFE'
LE CHIESE RUPESTRI - BET AMANUEL
CHIESE RUPESTRI - BET AMANUEL
IL VILLAGGIO
LE CHIESE RUPESTRI - CUNICOLI
CHIESE RUPESTRI - ANCORA CUNICOLI
CHIESE RUPESTRI
LALIBELA - NA'AKUTO LA'AB
LALIBELA - NA'AKUTO LA'AB
Dopo un volo di 40 minuti siamo atterrati in una landa desolata, a 2300 metri di altezza, dove l'unico edificio nel raggio di chilometri era quello dell'aeroporto. Prelevati dal minibus, ci siamo inerpicati per una strada asfaltata di 25 km che ha preso a salire ininterrottamente e tortuosamente fra alte montagne e, quando sembrava non dovesse finire mai, si è infilata in un gruppo di case un pò sgarrupate abbarbicate a 2700 metri di quota: eravamo a Lalibela, la città santa dei copti, il luogo delle chiese rupestri, la Petra d'Africa. Per la verità, l'arrivo è stato tragicomico: allo Yemhrea Hotel non avevano stanze per noi: dovevano ancora costruirle. In più, il mio raffreddore si stava facendo sempre più fastidioso; fiduciosi in una soluzione del problema, abbiamo pranzato al ristorante dell'hotel, una grossa capanna col tetto di paglia, molto confrotevole.
Non c'era traccia neanche della nostra guida: ma d'altra parte non avevamo nessuna intenzione di preoccuparci: oltretutto l'hotel era di proprietà della Greenland Tours e quindi una soluzione si sarebbe trovata. Il problema era che eravamo in prossimità del Natale copto, la festa più sentita qui perchè coincide oltretutto con l'anniversario della nascita di re Lalibela: in città non c'era neanche un posto libero, e gli altri alberghi, fra le altre cose, non promettevano nulla di buono. Alla fine però, tutto si è ovviamente risolto e, guadagnata la stanza (ampia e confortevole, tutto sommato) e alle 3, con qualche ritardo, ci è venuta a prendere la guida per portarci al primo complesso di chiese rupestri.
Attraversato il paese, che ci è parso subito popolato dalla gente più derelitta d'Etiopia (trattandosi di un luogo di pellegrinaggio, perdipiù in periodo festivo, era inevitabile), siamo arrivati al primo dei due complessi di chiese rupestri. All'ingresso un ragazzo ci si è autoassegnato quale "portatore di scarpe": dato che numerose erano le chiese da visitare e che non vi si poteva entrare se non scalzi, lui ci avrebbe custodito le scarpe. Lo spettacolo delle chiese è molto suggestivo: sono completamente scavate nella roccia rossa tufacea: opera, secondo la leggenda, di re Lalibela in persona, coadiuvato dagli angeli.
Il sito è protetto dall'UNESCO: purtroppo, oserei dire, visto che la protezione si manifesta in orribili impalcature di tubi innocenti con tetti di lamiera, in spregio a qualsiasi regola architettonico/estetica. Si spera che in futuro la situazione migliori, ma adesso le cose stanno così...lo spettacolo comunque è notevole: alcune chiese, tutte collegate fra loro da stretti passaggi e cunicoli scavati nella roccia, sono monolitiche, cioè costituite da un unico blocco di roccia: Lalibela prima ha scavato un fossato rettangolare di profondità pari all'altezza, e poi ha cominciato a scavare l'interno della chiesa nel blocco così ottenuto....
...scolpendo anche l'interno, che poi è stato affrescato nelle maniere più svariate. Forse l'interno delle chiese è meno suggestivo, nel senso che una volta che siè vista la prima chiesa (con il deplorevole utilizzo delle lampade al neon), si è data la mancia al prete che esibisce le croci peculiari della chiesa (indossando gli occhiali da sole per proteggersi dal flash delle macchinette), si è data un'occhiata agli affreschi e si è controllato se qualche pulce non sia rimasta attaccata dai tappeti distesi al suolo, si può dire di aver fatto tutto.
Come detto, tutte le chiese sono collegati da stretti cunicoli. La visita di questo pomeriggio è stata per me non particolarmente valida a causa del raffreddore, del cielo coperto e dalla presenza di un gruppo di turisti americani alquanto caciaroni...
I capolavoro assoluto comunque è la chiesa di San Giorgio (Bet Georgis), anche perchè non deturpata dalle impalcature. Peccato che il cielo fosse nuvoloso e i colori fossero spenti: il posto è diuna suggestione estrema: si scende nel fossato attraverso un cunicolo e si arriva al cospetto di questa chiesa a pianta cruciforme. La chiesa è separata dalle altre e per raggiungerla si attraversa il villaggio di capanne abitato dall'umanità più varia: mendicanti, storpi, ciechi e lebbrosi. Uno spettacolo un pò forte, per la verità l'unico di questo genere che ci è capitato di vedere in Etiopia.
E' impressionate pensare a come queste chiese sono state costruite: bisogna immaginarsi schiere di persone intente a scavare la roccia tufacea e poi ad intagliare il blocco, con il rischio di veder crollare tutto da un momento all'altro e di veder così compromesso tutto il lavoro. Non per niente questo complesso è considerato l'ottava meraviglia del mondo.
Oggi, fra le altre cose, era capodanno. Qui in Etiopia era un giorno come tanti altri ma, visto che nel nostro albergo c'erano altri gruppi di europei, era stata organizzata una serata particolare con cena tradizionale (in parte), danze e cerimonia del caffè. Quest'ultima, veramente particolare: i chicchi di caffè (che è originario proprio dell'Etiopia) vengono tostati sulla brace, pestati nel mortaio e la polvere infilata nella brocca, con l'acqua. Il tutto con l'effluvio dell'incenso e la guarnizione di un piatto di popcorn (la cui funzione non ho ben capito...). Il risultato è un caffè di una bontà suprema.
Con mia grandissima noia, la febbre della notte mi ha impedito di fare la progettata ascesa a dorso di mulo alla chiesa di Aketom Mariam, a 3200 metri di altezza sopra Lalibela. Nel pomeriggio tuttavia le mie migliorate condizioni mi hanno permesso di visitare il secondo gruppo di chiese, separato dal primo da un fossato che rappresenta il fiume Giordano. La giornata era molto più bella e i colori molto più vivaci; inoltre c'era molta meno gente e, in definitiva, ci siamo goduti molto di più la visita, a partire da Bet Amanuel (nella foto).
Da notare, mentre entrano nella chiesa, i tre pellegrini: ci hanno raccontato di essersi fatti 700 km a piedi per venire in pellegrinaggio a Lalibela. E come loro, tantissimi altri: si capiva benissimo quanto sia sentita la "santità" di questo luogo per i copti di questa regione del mondo.
Da qui si vedeva bene il villaggio di Lalibela, sulla collina.
Anche qui si passava da una chiesa all'altra attraverso cunicoli sotterranei. Qui eravamo sbucati in una vecchia scuderia.
Un altro passaggio, questo scavato dall'acqua e adesso utilizzato come uscita.
Un altro arco scavato nella roccia, che metteva in comunicazione due chiese.
La mattina dopo, tornando verso l'aeroporto, abbiamo fatto una deviazione per visitare questo monastero incastrato in una grotta dalla cui volta cade in continuazione acqua con la quale i locali e i pellegrini si fanno la doccia purificandosi.
Il luogo era pieno di gente che pregava. Ci aspettava il volo per Addis, via Gondar: in poco più di un'ora avremmo terminato il nostro percorso settentrionale e quel pomeriggio stesso saremmo partiti con il fuoristrada alla volta del sud: un viaggio del tutto diverso da quello che avevamo fatto sino ad ora....
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L'AEROPORTO
Dopo un volo di 40 minuti siamo atterrati in una landa desolata, a 2300 metri di altezza, dove l'unico edificio nel raggio di chilometri era quello dell'aeroporto. Prelevati dal minibus, ci siamo inerpicati per una strada asfaltata di 25 km che ha preso a salire ininterrottamente e tortuosamente fra alte montagne e, quando sembrava non dovesse finire mai, si è infilata in un gruppo di case un pò sgarrupate abbarbicate a 2700 metri di quota: eravamo a Lalibela, la città santa dei copti, il luogo delle chiese rupestri, la Petra d'Africa. Per la verità, l'arrivo è stato tragicomico: allo Yemhrea Hotel non avevano stanze per noi: dovevano ancora costruirle. In più, il mio raffreddore si stava facendo sempre più fastidioso; fiduciosi in una soluzione del problema, abbiamo pranzato al ristorante dell'hotel, una grossa capanna col tetto di paglia, molto confrotevole.