KHIVA
Il viaggio da Bukhara a Khiva è durato all'incirca 7 ore: la strada non più a quattro corsie attraversa un territorio sempre più desertico man mano che ci si sposta verso ovest, lungo il confine con il Turkmenistan, con la comparsa addirittura di qualche duna sabbiosa.
Il tempo oggi è stato piuttosto cupo: all'inizio sembrava la solita nuvola di sabbia ma poi ci siamo resi conto che effettivamente il cielo era coperto da nuvole grigie. Dopo qualche ora ci siamo fermati per una pausa nei paraggi del fiume Amu Darya dove abbiamo preso un caffè con la solita pagnotta in una bettola dove altri turisti hanno assaggiato il pesce del fiume. Siamo stati contenti di non averlo fatto dopo aver visto come tali pesci vengono conservati: morti, dentro una piscina d'acqua ferma, al sole. Ce ne siamo accorti quando il ristoratore ne è andato a prendere uno, enorme (35 kg) e l'ha portato dentro per prepararlo. Ecco spiegati, secondo noi, i racconti di dissenterie e mal di pancia vari che più di una persona ha riportato dal viaggio in Uzbekistan.
Noi dunque non ci siamo azzardati a prendere il pesce e siamo arrivati a Khiva qualche ora dopo, sani e salvi, dopo aver attraversato su un gigantesco ponte di barche il larghissimo corso dell'Amu Darya, ai tempi di Alessandro Magno largo fino ad 8 km e oggi molto ridotto a causa dell'irrigazione intensiva a monte che fra le altre cose ha provocato l'inaridimento progressivo del non lontano lago d'Aral.
Khiva ci ha accolto, dopo il lunghissimo rettilineo dotato di filobus che la collega ad Urgench, con la sua cerchia di mura color sabbia al cui interno spiccano le maioliche di minareti, cupole e facciate. Il nostro albergo (Malika Khiva) era proprio di fronte alla porta ovest e subito dopo avervi lasciato i bagagli ed esserci rinfrescati, abbiamo iniziato l'esplorazione della cittadella, in attesa della guida che ci avrebbe accompagnato l'indomani.